L’impressione generale è quella di uno scenario di un romanzo di Balzac.
Questi strani paesi che sembrano soldati di frontiera a vegliare le campagne sono desolanti come un sobborgo di una città negli anni della Rivoluzione industriale. Muri anneriti dall’umidità, fumi che escono dai comignoli e balconi arrugginiti dal tempo. Neanche il sole che spunta d’improvviso dopo quarantotto ore di pioggia riesce a dare un’aria allegra a queste case che probabilmente, ai piani bassi, non vedono mai la luce del giorno. Un grande albero in mezzo ad una radura mostra il suo ventre squarciato da un fulmine.
La partenza prosegue nella scia di questo sconcertante squallore.
Forse è solo colpa del mio umore.


Sul rettilineo d’arrivo sembra tornata l’estate, mancano ancora quaranta chilometri, Neilson Powless ha appena attaccato. Entro in un bar e prendo un succo di Pompelmo – non so perchè, non mi piacciono neanche i gusti acidi. Sembra tutto fuori posto. Il tempo, lo spazio, le sedie. Per caso guardo in alto, c’è un cartello con scritto: “ho imparato a volare dentro al sogno dei tuoi occhi”. Quando respiro, lo sento. Questo è il motivo per cui siamo ancora qui oppure restiamo per altre ragioni? Che cosa faremo quando il senso sarà davvero perduto? Forse per allora il puzzle sarà completo.
Powless è ancora al comando, la gente pensa a quando potrà finalmente muovere le proprie maledette macchine dal garage ed è sempre più chiaro come le persone abbiano dei problemi a fermarsi. Lui invece è immobile sul suo vantaggio, concentrato solo su questa battaglia di ottobre che, per una volta, è sua soltanto. Il sole è una lama di luce che acceca e abbaglia. Com’era la luce, alla fine dell’estate, nella riserva? Il sangue che scorre nelle sue vene adesso e che pompa lo sforzo fino al cuore è lo stesso di suo nonno, cento per cento nativo della tribù Oneida. Correre non è solo una questione di numeri, è anche qualcosa che ha a che fare con il ritmo dell’universo. Ogni cosa va e ogni cosa torna, ciò che è stato spezzato ancora è, con il corpo, un’unica entità.
La lunga cavalcata finisce con un grido di vittoria, un raggio di sole riverbera sul casco del guerriero, come a formare un’aureola di eletto. I condottieri sanno vincere e perdere ma mai – mai – dimenticano come si debba essere pronti a rischiare tutto per riprendersi ciò che gli è stato tolto.

La luna a spicchio fluttua bianca e lattiginosa nel cielo ancora chiaro, appena livido all’orizzonte, mentre la campagna scorre dal finestrino. Si muove la costola, ad ogni respiro. È la più vicina al cuore.
Lui non lo sa ma, ad ogni battito, lo sfiora.
Anche adesso.
E ora.
Ancora.
Le coste fluttuanti sono le ultime coste della gabbia toracica. Vengono chiamate cosi perchè sono collegate solo alle vertebre oppure allo sterno unicamente tramite della cartilagine.
La costola fluttuante di sant’Antonio da Padova è tra le reliquie più suggestive della cristianità. Si tratta del frammento osseo che era più vicino al cuore, per questo si dice che chi prega davanti ad esso può sentire il respiro del Santo.